CONVINZIONI PARAVENTO
Non sempre le convinzioni che appaiono a un primo esame sono quelle che creano realmente il disagio di cui ci vogliamo liberare. Le convinzioni paravento sono quelle che ci permettiamo di vedere e, come loro caratteristica, tendono a mostrare solo una piccola parte del problema: quella che, appunto, ci permettiamo di vedere. Scavare in profondità dentro di noi, senza fermarci alle apparenze, ci consente di conoscerci meglio e di individuare la vera causa alla radice delle nostre dinamiche.
Quando incontriamo una convinzione, quindi, dobbiamo accertarci che non nasconda un problema molto più complesso anche se meno visibile, perché se quest’ultimo dovesse essere presente non sarà sufficiente lavorare sulla convinzione di superficie per guarire ciò che ci sta disturbando.
Solo quando rintracciamo il vero problema, e cambiamo le dinamiche che ne sono alla base, possiamo lasciarci alle spalle le difficoltà e raggiungere i nostri obiettivi.
LA DISCESA DENTRO NOI STESSI
“La gente farebbe qualsiasi cosa, non importa quanto sia assurda, per evitare di guardare la propria anima” diceva Carl Gustav Jung. E questo perché c’è una certa resistenza nel guardarci dentro, un timore connesso a ciò che potremmo trovare.
Intimamente sappiamo che non ci conosciamo così bene come superficialmente vogliamo credere e temiamo l’ignoto, soprattutto quando i terreni sconosciuti sono interiori. Questa resistenza, però, ci impedisce di scoprire anche la nostra ricchezza.
Non possiamo ‘ascendere’ senza ‘discendere’, è impossibile esplorare i territori dello spirito senza rimuovere i blocchi che si annidano nell’inconscio, che peraltro sabotano i nostri tentativi di elevarci. Possiamo toccare le vette più alte solo tenendo conto dei burroni più profondi.
Tutti vorremmo migliorare noi stessi partendo da una situazione neutrale, senza cioè calarci nelle parti di noi più meschine e oscure, eppure è proprio e solo lì che possiamo trovare la mappa per il cielo. Scendere negli abissi di noi stessi è un cammino necessario, e se sapremo affrontarlo con apertura di cuore e senza pregiudizi, daremo avvio al processo alchemico di trasformazione delle nostre parti buie, e questo perché avremo portato in quel buio la luce della nostra consapevolezza e del nostro amore.
NO AL GIUDIZIO, SI ALL’APERTURA MENTALE
Quando ci caliamo dentro noi stessi dobbiamo farlo senza giudizio. Il nostro obiettivo non deve essere quello di andare a cercare quello che di noi non va, ma di trovare le nostre zone d’ombra per poterle portare alla luce. In questa visione ogni volta che troviamo un’area debole, questa diventa un’opportunità di trasformazione. In quest’operazione non c’è giudizio, né critica: solo la sana volontà di migliorare noi stessi. Inoltre ogni volta che illuminiamo le nostre parti oscure, liberiamo risorse preziose fino a quel momento bloccate.
Per poter fare questo però dobbiamo avere una buona apertura mentale, perché se crederemo di sapere già tutto di noi, se saremo certi di conoscerci, non scopriremo niente di nuovo, non solo: continueremo a nutrire quegli stessi pensieri che hanno creato i problemi che abbiamo. E questi ultimi si rinforzeranno ulteriormente.
L’apertura mentale consiste in un approccio curioso, proprio come quello dell’esploratore che osserva senza pregiudizi ciò che incontra. Se invece ci porteremo dietro i nostri preconcetti, e magari anche la nostra supponenza, non potremo scoprire niente di interessante. Anche se avremo tesori davanti ai nostri occhi. Perché non li vedremo.
Troviamo quello che cerchiamo. Se pensiamo di sapere già tutto di noi, non troveremo proprio nulla. Senza apertura mentale è inutile mettersi in viaggio: sia fuori che dentro di noi.
È DAVVERO UN PROBLEMA ECONOMICO?
La storia di Carolina.
Carolina è una donna di oltre trent’anni, intelligente e capace. Il suo problema è che non ha abbastanza denaro per potersi permettere una casa tutta sua, per cui si trova costretta a vivere ancora con i genitori. Questo perlomeno è quanto dichiara in prima istanza. Racconta come il clima nella casa dei genitori sia invivibile, un litigio continuo, ed è arrabbiata perché non riesce ad avere l’avanzamento economico che le permetterebbe di diventare autonoma.
Indagando meglio sulle sue reali possibilità economiche emerge che Carolina potrebbe già ora mantenersi un piccolo appartamento. Tuttavia lei afferma di non volersi accontentare: “Me ne andrò di casa solo quando potrò permettermi un alloggio definitivo. Non voglio buttare i soldi in qualcosa di provvisorio”.
Questa scelta, secondo Carolina molto razionale, lascia in realtà spazio a una domanda: perché, pur provando un enorme disagio a vivere con i genitori, non contempla la possibilità di trasferirsi in un appartamento tutto suo, anche se provvisorio? È possibile che Carolina abbia dei benefici nel rimanere nella casa dei genitori, oltre a quelli puramente economici? È possibile che abbia delle paure riguardo all’andare a vivere per conto suo? È possibile che non si senta pronta a essere adulta?
Carolina, in effetti, confessa di non sentirsi ancora abbastanza ‘grande’ per affrontare il mondo. E ciò che davvero le impedisce di andare a stare per conto suo non è la situazione finanziaria, ma la paura di crescere e di rendersi autonoma dai genitori.
È DAVVERO UN PROBLEMA SESSUALE?
La storia di Simona
Simona non riesce a spiegarsi come da qualche tempo incontri problemi con la sessualità. Simona, nella sua vita, ha avuto diversi partner, e mai un problema sessuale. Ora invece sembra che non riesca più a lasciarsi andare, trasformando l’atto sessuale più in un dovere che in un piacere. “Non è da me”, dice Simona. “Non sono mai stata così”. Ma basta uno sguardo rapido alla sua storia per individuarne la causa. Simona evidenzia problemi con la sessualità da quattro anni, esattamente dopo che è stata lasciata dal suo ‘partner storico’, quello con cui avevano deciso di sposarsi, prima che lui s’innamorasse di un’altra e la lasciasse. Da quel momento Simona, per sua ammissione, non è mai più riuscita a innamorarsi di un altro uomo: “Dopo ho voluto bene ma mai amato”.
È chiaro che Simona ha assunto, anche se inconsciamente, un atteggiamento di difesa nei confronti degli uomini. La ferita inferta dall’ex-fidanzato è ancora aperta e dolente, e lei non se la sente di mettersi in gioco completamente come aveva fatto prima. Di questo, naturalmente, risente anche la sessualità che, invece di essere un’esperienza di fusione, diventa un atto nel quale tenere le distanze emotive, e dove quindi un’intimità vera diventa impossibile.
È DAVVERO UN PROBLEMA DI MANCATA MATERNITÀ?
La storia di Viola.
Viola è una signora di mezz’età che non è riuscita ad avere figli. Ed è a questo a cui lei attribuisce il suo senso di incompletezza. “Se avessi avuto figli ora sarei una donna felice – ripete incessantemente – non è possibile essere delle donne realizzate se non si è diventate madri. Una donna senza figli è una donna incompleta, è una donna inutile, è una donna mancata”.
Viola ha realmente queste convinzioni, tuttavia il suo problema di fondo non è questo. In realtà, la mancanza di un figlio è diventata per lei una sorta di ‘discarica’ nella quale getta tutto il suo dolore, la frustrazione, e questo suo senso di incompletezza: emozioni che esistevano già prima.
Viola, in effetti, racconta di aver provato queste sensazioni anche quando era più giovane, e di figli all’epoca non ne voleva affatto. Viola ha sempre avuto una forte dedizione al lavoro, al quale ha consacrato tutto il suo tempo, e questo ha avuto e continua ad avere importanti ripercussioni sulla sua vita affettiva, quasi inesistente. Ed è per questo che la sua vita si può definire incompleta.
La presenza o meno di un figlio non è il problema vero di Viola, ma lo è lo spazio ridottissimo che dedica alle relazioni. Ed è questo a causarle quel doloroso senso di incompletezza. Non la mancata maternità.
LA FELICITÀ È DOVE PENSI CHE SIA?
La storia di Giorgio
Giorgio sogna un lavoro prestigioso, con la convinzione che solo quello possa renderlo felice. All’università si impegna moltissimo per uscire a pieni voti e riesce nel suo intento. La sua carriera inizia sotto una buona stella perché gli si aprono porte insospettate. Negli anni successivi continua a lavorare duro con in mente un unico obiettivo: arrivare ai vertici. I suoi problemi iniziano proprio quando lo raggiunge. Non passa molto tempo che Giorgio inizia ad accusare un forte disagio. Nonostante abbia tutto quello che ha sempre desiderato, compresa una bellissima famiglia con due figli che adora, non si sente felice. In più, ora non saprebbe che altro desiderare di più.
Troppo spesso crediamo che la felicità sia legata a obiettivi del tipo: “Potrò essere felice quando troverò il partner giusto”, “Potrò essere felice quando avrò più soldi”, “Potrò essere felice quando raggiungerò il peso forma”, “Potrò essere felice quando quella persona che amo starà meglio di salute” ecc., ed è certamente vero che, una volta che abbiamo raggiunto quello che desideriamo, siamo contenti, ma sappiamo anche che è una gioia effimera, legata alla circostanza: ben presto troveremo mille altri motivi per non essere felici, e saremo daccapo.
Quello che è importante capire è che non deve succedere qualcosa di particolare per poter essere felici, non deve accadere qualche evento eclatante, perché quella non è vera felicità: è piuttosto una reazione euforica a qualcosa che in quel momento ci ha stimolato positivamente. E quando questo effetto scomparirà, anche quell’euforia sarà destinata a dissolversi.
SEI DAVVERO INFELICE PER IL MOTIVO CHE CREDI?
Ognuno di noi, a suo modo, attribuisce la propria insoddisfazione a cause esterne, rendendole responsabili del nostro malessere e della nostra frustrazione: per alcuni può essere la mancanza di un partner o la presenza di un partner diverso da come vorrebbe, per altri può essere un lavoro poco appagante, per altri ancora una situazione economica preoccupante, e così via. Individuiamo una causa e poi attribuiamo a essa la nostra sofferenza. Ma questo ci porta fuori strada. Se anche avessimo la bacchetta magica e potessimo risolvere quel determinato problema, saremmo ugualmente insoddisfatti, perché la felicità interiore è uno stile di vita, una scelta, un lavoro costante su noi stessi e sui nostri stati d’animo.
Qualunque sia il problema che stiamo vivendo in questo momento della nostra vita, o che abbiamo vissuto in passato, abbiamo la possibilità concreta di stare bene, e questo non perché otteniamo necessariamente quello che vogliamo, né perché ci accontentiamo di quello che abbiamo, ma perché ci riappropriamo della nostra responsabilità. I fatti esterni non sono mai la reale causa dei nostri problemi. Solo spogliandoci dei panni delle vittime e rinunciando a incolpare persone o situazioni per la nostra insoddisfazione, potremo trovare il nostro equilibrio interiore.
La felicità è una scelta: è vivere nel presente e godersi il presente com’è, con le sue gioie e i suoi dolori. Ma tutto questo non è affatto scontato per noi, che infatti la inseguiamo senza mai riuscire a raggiungerla.