Quando ci arrabbiamo rivolgiamo il nostro pensiero all’esterno, verso chi, secondo noi, ci ha fatto del male. Forse la persona in questione ci ha deluso, tradito, rifiutato, mentito, o non ci ha riconosciuto come avremmo meritato, o altro ancora. Insomma individuiamo la causa della nostra rabbia fuori di noi e così facendo ne manchiamo il vero significato. Perché la rabbia è un’occasione non colta.
Per cogliere quest’occasione dobbiamo mettere da parte tutte le accuse che rivolgiamo verso l’esterno, ma anche le possibili auto-accuse. La critica e il giudizio non fanno che cristallizzare il problema perché ogni volta che accuso o mi accuso, mi precludo la possibilità di comprendere. Ma è solo quando comprendo il reale motivo per cui mi sono alterato che posso guarirmi. Il segreto, dunque, quando proviamo rabbia è sospendere il giudizio. Poi, quando le nostre emozioni si sono placate, possiamo indagare nel profondo, alla ricerca della causa vera che l’ha provocata.
Se, ad esempio, sono arrabbiato perché ho fatto un grosso sacrificio e le persone per cui mi sono sacrificato non sono state neppure riconoscenti, tenderò a pensare che il motivo della mia rabbia sia nell’ingratitudine altrui. Mentre, con ogni probabilità, lo squilibrio è stato generato dall’aver operato uno sforzo eccessivo che ha incrinato la mia armonia.
Poniamo, ad esempio, di essere molto arrabbiati col nostro capo, siamo andati in ufficio anche quando stavamo male. Non abbiamo mai dato la precedenza a noi stessi, ma sempre al lavoro. Poi, quando si è trattato della promozione, ci siamo visti passare davanti un collega che, invece, aveva molti meno meriti e certamente una dedizione al lavoro inferiore alla nostra. Questo ci sembrerà terribilmente ingiusto, ma se siamo disposti ad andare oltre le apparenze, potremo vedere un’altra storia.
L’altra storia che potremmo vedere è che abbiamo fatto scelte sbagliate, prima fra tutte quella di trascurare noi stessi. Le radici della nostra rabbia sono allora da ricercare in questo atteggiamento poco rispettoso di noi stessi. Non nel comportamento altrui.
Prendendo coscienza di questo, la rabbia lascia il posto a un senso di tristezza: sappiamo che non è più possibile cambiare il passato. E qui rischiamo di commettere un secondo errore, perché non è il passato che dobbiamo cambiare ma il presente. Se continueremo a lavorare in modo eccessivo, ma anche se faremo il contrario, e cioè, sopraffatti dalla rabbia, ci metteremo a fare il minimo indispensabile, altre dinamiche simili si ripresenteranno nella nostra vita.
Questo finché non riusciremo a cogliere il messaggio contenuto in queste esperienze: imparare l’equilibrio, dosando e distribuendo le nostre energie con armonia. Perché l’equilibrio non può esistere quando le nostre energie non sono ripartite in modo equo. Se impareremo dalle esperienze, il passato sarà stato costruttivo, ma se continueremo a perpetuare lo stesso errore, allora sarà fonte di tristezza, delusione e sconforto.
Se saremo disposti ad apprendere le lezioni costruttive che la vita ci trasmette, il rancore svanirà. Non solo. Quando comprendiamo il significato profondo delle esperienze che abbiamo vissuto, ne usciamo arricchiti e più felici. Se invece questo non avviene, il passato continua a tormentarci. Perché le dinamiche disfunzionali che non siamo in grado di comprendere e guarire si ripresentano, magari con una forma diversa ma spesso con un identico contenuto.
Se vogliamo dare una svolta alla nostra vita, lasciarci alle spalle il passato con i suoi dolori, dobbiamo imparare da esso. Solo così potremo compiere il passo evolutivo che quell’esperienza aveva in serbo per noi. E quel passo ci regalerà una maggiore armonia nel presente.
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